Stefano Pantezzi
Un suicida, nel lungo volo verso la morte si lancia nel vuoto da un grattacielo, nel volo viene colpito da un sonno profondo e finisce col risvegliarsi dentro a un Caffè sulla Luna.
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Un suicida, nel lungo volo verso la morte si lancia nel vuoto da un grattacielo, nel volo viene colpito da un sonno profondo e finisce col risvegliarsi dentro a un Caffè sulla Luna. È questo il luogo di incontro ove convergono le anime di tutti i tempi e Giovanni, come un novello Dante, trova il pertugio per entrare e lo percorre per intero accompagnato dal proprio cane Silene. Partendo dal faro al centro del mare di nebbia si incontra con i fondamenti di tutte le cose: gli specchi delle relazioni interpersonali, la tragica infinita partita tra l’amore e la morte, i venti delle passioni che portano il seme di vita e di guerra e che fanno la storia del mondo, le antiche intuizioni delle grandi civiltà del passato sulle quali si innestano le domande del vivere, la nascita dei miti di Rha, di Isis e Osiris, la palingenesi di Ilio crocevia della storia del mondo, l’anima di Giordano Bruno che gli apre la via per l’incontro con la Trinità e i dubbi che dilaniano il Padre, la stanchezza del Figlio; la luce, il sacrificio, il messaggio. La necessità, ancora e sempre, di cercare la madre, il senso ultimo delle cose, il significato della vita e della morte. Il viaggio di Giovanni, l’uomo in cerca, il messaggero, nella vastità immensa del cosmo alla ricerca del punto preciso in cui tutto nasce e finisce, dei luoghi da cui tutto parte e dove tutto arriva, nello spazio e nel tempo in cui tutto si crea e si distrugge. Il ritorno, infine, la chiusura del cerchio, il ricongiungimento con la madre morente e con la propria stessa morte, la condivisione profonda dell’esperienza del morire e del ricongiungersi definitivo alla polvere cosmica.
Sulla ritmica dei cori greci, le terzine dantesche introducono dodici quadri dove la musica delle parole riecheggia il cantico muto dell’universo.
Quadro primo – Il volo
Dove Giovanni decide di morire tuffandosi nel buio da un grattacielo ma, incerto su cosa sia la morte, cade in un profondo sonno finendo per risvegliarsi dentro un sogno, in un Caffè sulla Luna.
Una piccola goccia di pioggia aggrappata alla gronda, lassù.
Sul tetto del grande palazzo. In alto, più in alto.
E dentro, un lucore minuscolo, riflesso degli alti lampioni, laggiù.
Nella strada. Lontano.
In mezzo, decine di metri di vuoto e di notte.
Giovanni aggrappato all’ultima presa sul tetto del mondo.
Assediato.
Costretto.
Immobile ancora.
Li vede, li sente: il buio profondo di fronte, il vuoto cannibale dentro.
Da tempo.
Da troppo.
Le mani che tremano. E scorrono in rivoli brividi freddi sotto la pelle pulsante.
Paura.
Ma anche calore mischiato al piacere promesso, sognato.
La calma che chiama.
La voglia di pace, di quiete, di lasciami stare. Per sempre.
È un desiderio che è forte, un richiamo potente.
Di vuoto, di buio.
Di tutto, di niente.
Per sempre.
Si va.
– Non farlo, non farlo! – grida il suo corpo.
– Non posso far altro – lamenta la mente.
Giovanni che geme, che piange, che trema.
È il freddo. È lo sfinimento.
È nero che è nero.
È buio che è buio.
E il vento comincia a soffiare da sotto all’in su.
È un fischio leggero, incurante.
Una brezza.
Carezza.
Ci vuole, ci chiama.
Si va.
Via, via che si va.
Via, basta. Si va.
Dentro al vuoto. Poi giù.
Nel buio e nel vento.
Verso la quiete perenne.
Si va, finalmente si va.
Vertigine inebria.
Desiderio che esplode.
Chi vola?
Chi cade?
Gambe si muovono.
Braccia mulinano.
Si vola. Si cade. Si va.
Tornare, fermarsi?
Che spuntino ali?
In su non si torna.
– Non farlo non farlo!
È già fatto.
Ma è lunga la strada, è un volo infinito.
È lunga la via per la morte.
Che arrivi davvero la fine?
Morire, dormire, sognare .
Morire.
In su non si torna.
Il vento che sibila intorno, nel buio che dura in eterno,
le luci che corrono incontro.
E tutto che scorre, che brucia, che passa veloce.
Più in fretta, ancora più in fretta, più luci, più strada, più forte, più sogni.
Morire, dormire, sognare.
La morte, la vita?
Morire, sognare.
Dormire.
Forse dormire.
Destarsi.
Svegliarsi dal sonno nel sogno.
Un mondo che è fuori dal mondo in cui muori, un mondo che morte non sa.
Nel sogno.
Il buio che è buio si allarga e diventa una bolla.
Di vuoto, di nero.
Di niente trapunto di luci di stelle.
– Che bello, che strano. Son morto, son vivo. Io sono e non sono.
Il volo rallenta, raccolto dal buio infinito.
Leggero si ferma sul limite estremo del bianco e del nero.
Il bianco è la luce del sole, il nero la notte.
Il nulla nel mezzo.
Soltanto la polvere bianca e la polvere nera.
Di giorno, di notte, all’alba, al tramonto.
Leggera, impalpabile polvere. Si scosta, si scansa, si schiaccia, si apre. Non si alza.
Nessuna nuvola attende Giovanni, non nubi di sangue o di acqua, non nebbia che accolga Giovanni, Giovanni che atterra.
Il vento è caduto, il fischio è cessato, il volo è finito; e l’aria, anche l’aria è sparita.
Nemmeno un respiro è concesso quaggiù nel mondo lassù.
Morire, dormire, sognare, forse; svegliarsi.
Forse.
Destarsi.
Un caffè.
Davvero mi basta un caffè.
Un caffè sulla Luna.
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Stefano Pantezzi, nato a Rovereto nel 1956 e cresciuto a Trento, vive a Pergine Valsugana. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, è avvocato da una vita. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Come una nave d’acqua” (YCP, 2018), alcuni racconti in antologie locali e il romanzo “Siamo inciampati nel vento” (Edizioni del Faro, 2020).