Elisa Delpari
Da dove arrivano le visioni che portano Elektra in mondi paralleli? Cosa significano le escursioni spazio-temporali che la traghettano in mondi apparentemente lontani dal suo?
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Da dove arrivano le visioni che portano Elektra, timida e introversa ragazza newyorkese, in mondi paralleli? Cosa significano le escursioni spazio-temporali che la traghettano in mondi apparentemente lontani dal suo? La vita monotona e solitaria della ragazza subisce uno stravolgimento che la condurrà a una diversa consapevolezza. La memoria storica come ricostruzione della propria identità. L’amicizia tra due ragazze che si consolida nei momenti difficili e gioisce in quelli di condivisione. Un’avventura che coinvolge e tiene con il fiato sospeso, con la voglia di seguire Elektra nel suo cammino che la porterà a conoscersi nel profondo.
Mi chiamo Elektra, a scuola sono considerata una sfigata, sempre china sui libri e senza uno straccio di vita sociale; non aiutano di certo le tute da ginnastica e i maglioni sformati con cui mi vesto per non attirare l’attenzione e il mio evitare ogni festa ed evento scolastico come la peste. Non è un caso se il ragazzo di cui sono innamorata fin dalle elementari, Matt, il bel capitano della squadra di football, non mi abbia mai notata.
L’unica ragazza che ha accettato di essere mia amica è Alice, una compagna di classe, ed è proprio da lei che mi trovo in questo momento, a piangere e sfogarmi come un’anima in pena.
– Perché devo essere sempre trattata così? Non è giusto! – mi sfogo con Alice.
– Lo sai qual è il problema? Dovresti sforzarti di essere meno apatica. Sono sempre dalla tua parte, ma devi darti da fare, a proposito, che ne dici se stasera andiamo a un party?
– Lo sai che li odio, nessuno mi rivolgerà la parola e poi non ho niente da mettermi.
– E se ti dicessi che c’è anche Matt, potrei riuscire a convincerti?
– Non so… però devo pur iniziare da qualche parte, va bene, mi hai convinta, ci vengo! A una condizione però, niente vestito, solo jeans e maglietta.
– Va bene! Ti passo a prendere per le otto, ok? Per i vestiti non ti preoccupare, te li trovo io un paio di jeans carini e una maglietta, tanto abbiamo la stessa taglia. Eccoli, tieni, prendili e vai a farti bella. A dopo!
Arrivo a casa, il tempo di mangiare e prepararmi ed ecco che Alice è già qui.
– Ciao Elektra, sei pronta?
– Sì, andiamo!
Arrivate a destinazione il vialetto è già pieno di auto: ci sono proprio tutti.
Comincio a pensare che non sia stata una buona idea, ma ormai sono qui e non posso certo tornare indietro.
Ci spostiamo all’interno della villa che è immensa e si sviluppa su tre piani: l’ingresso sembra la copia di un tempio greco che dà l’accesso a un immenso giardino nel quale si trovano anche due piscine olimpioniche, un campetto da football e uno da volleyball. Nelle varie stanze musica a palla e rifiuti sparsi dappertutto, molti ragazzi sono già ubriachi e diversi di loro si appartano nelle camere da letto a divertirsi.
Mi guardo intorno e vedo Matt che, notandomi, fa un gesto di saluto con la mano nella mia direzione sorridendomi. Sarà forse che, grazie al mio nuovo look, sto cominciando a ottenere gli effetti desiderati? Sembrerebbe di sì!
Noto che alcune mie compagne, tutte in abito da sera, look che a mio parere sarebbe molto più adatto per un locale di spogliarelliste dato che sono praticamente mezze nude, mi guardano in maniera curiosa. Non sono abituate a vedermi vestita così, ma a giudicare dalle loro occhiate direi che il risultato finale non è poi così male. Sto cominciando a sentirmi a mio agio quando, all’improvviso, comincio ad avvertire un senso di stanchezza e sonnolenza e gli occhi cominciano a chiudersi. Sento che sto per avere un mancamento, non so quanto riuscirò a resistere. Provo ad aggrapparmi al muro ma non ce la faccio, cado per terra perdendo i sensi.
Mi ritrovo in una stanza molto stretta, buia e completamente spoglia, sembra quasi uno di quei bunker scavati sottoterra che ho visto spesso nei film di guerra.
Al centro della stanza c’è un tavolo enorme pieno di carte: alcune sembrerebbero carte geografiche ma non capisco di quali Paesi, le scritte sono in una lingua che non conosco, altri sono documenti vari e molte fotografie in bianco e nero di uomini e donne in uniforme militare.
Intorno al tavolo c’è un gruppo di persone: ragazzi e ragazze di varie età, alcuni molto giovani sembrano quasi dei bambini, sono tutti vestiti con abiti che ora non si usano più, mi sembra in stile anni Quaranta-Cinquanta, quasi tutti sono armati: portano sulla spalla dei fucili o delle pistole alla cintura. Sparse in giro per la stanza vedo anche altre armi di vario tipo e dei mezzi di trasporto: biciclette, una motocicletta e una vecchia automobile con disegnata sui finestrini una croce rossa. Uno dei ragazzi, che qualcuno chiama con il nome di Paolo, molto bello con folti capelli ramati, occhi azzurro-ghiaccio e un fisico atletico e asciutto, si gira verso di me guardandomi con uno sguardo carico di significato, quasi come se ci conoscessimo e provasse un qualche tipo di sentimento per me, e dice: – Allora Lisa, qual è il piano per stasera? Andiamo a uccidere qualche crucco?
Lo guardo un po’ strano pensando dentro di me: Ma di cosa sta parlando? Chi è Lisa? Sta parlando con me?
Sono nel panico più totale, quando, così com’era cominciata, mi ritrovo a terra semi-cosciente e inizio a sentire delle voci a me familiari, sulle altre, in particolare, spicca quella di Alice.
Apro gli occhi ed eccomi lì, nella villa con i miei compagni che mi guardano a metà tra lo stranito e il preoccupato: incredibile ma vero, non l’avrei mai pensato, forse sotto sotto non mi detestano così tanto.
– Elektra, tutto bene? Sei caduta così all’improvviso che mi sono spaventata a morte!
– Sì, tutto a posto. Dev’essere stato un calo di zuccheri, ogni tanto mi succede.
– Forse è meglio se ti riporto a casa, che ne dici?
– Sì, sono d’accordo, andiamo.
Usciamo e dopo pochi minuti siamo di fronte a casa mia, una modesta casetta a schiera, anonima in mezzo alle altre, purtroppo i miei genitori non navigano in buone acque: mia madre ha perso il lavoro e mio padre lavora in una fabbrica per pochi soldi. Durante il tragitto ho pensato e ripensato se raccontare alla mia amica quanto mi è accaduto, ma è decido di aspettare, non voglio essere presa per pazza e, in fondo, non sono sicura neanch’io di quello che ho visto.
– Ciao, ci vediamo a scuola domani, vero? – mi chiede Alice ancora visibilmente impensierita.
– Certo, assolutamente, non ti preoccupare, sto molto meglio adesso. Rientro a casa, vado in camera, mi metto a dormire e non ci penso più.
Anonimo |
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Elisa Delpari nasce a Casalmaggiore (CR) nel 1988 e vive insieme al suo compagno a Carpi (MO). Diplomata in agraria, attualmente disoccupata, fin da piccola ha sempre avuto una passione per la lettura e un’altra, non meno significativa, per la storia che l’ha portata a scrivere il primo romanzo, “1944: The rebellion”. Oltre a questi due grandi amori adora viaggiare, andare a teatro, fare lunghe escursioni immersa nella natura e pedalare in sella alla sua fidata bicicletta nelle campagne della sua città.