Grazia Perre
Perché si diventa jihadisti? Come avviene il processo di radicalizzazione e di reclutamento? Cosa spinge un religioso islamico ad ambire al martirio?
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La strage dell’11 settembre, avvenuta per mano di terroristi di matrice islamica, ha segnato l’inizio di una lunga serie di sanguinosi eventi che nel corso degli anni hanno sconvolto intere comunità. “Da Raqqa a Parigi, dalla Siria all’Europa: portare la guerra nel cuore dove vive il nemico”. Sono queste le parole pronunciate da Al Baghdadi che hanno dato avvio alla famigerata “Jihad” contro i crociati. Perché tutto questo accanimento nei confronti del mondo Occidentale, in particolare verso innocenti professanti altre religioni? Perché si diventa jihadisti? Come avviene il processo di radicalizzazione e di reclutamento? Cosa spinge un religioso islamico ad ambire al martirio? Che genere di ruolo rivestono uomini, donne e bambini all’interno di questo assetto “parastatale?” Come avviene la propaganda jihadista e attraverso quali canali mediatici si manifesta? Quali sono le principali forme di finanziamento lecite e illecite del Daesh? Sono queste alcune delle innumerevoli domande alle quali si cerca di dare risposta con nozioni di approfondimento evolutivo riguardante l’odierno fenomeno dello jihadismo globale. Grazie a un’analisi storica e morfologica del concetto di Jihad sono stati esaminati gli elementi che nel corso del tempo hanno portato alla creazione di una nuova forma di terrorismo globale di matrice islamico-jihadista. L’appendice, corredata da alcuni frammenti di brani tratti dai principali manuali jihadisti (manuali di guerra e/o di stili di vita), fornisce al lettore una testimonianza diretta.
Immagine di copertina: Murmansk, Russia – April 22, 2019: IGIL propaganda pamphle, tanyss, istockphoto.com
“Scopritevi.
Scoprirsi è la più bella forma d’arte che possa esserci oggi.
Ci si scopre e si fa all’amore.
E la libertà è l’espressione che diamo noi tutti alla bellezza e all’imperfezione delle cose.
Non sono gli occhi a guardare il mondo.
Ma è il mondo a poter guardare noi per come siamo.
E siamo bellissimi e bellissime.
Come qualsiasi Dio che ci ha resi tali.
Non è un mantello e nemmeno un credo a evitarci pietre in faccia o moscerini sulle ferite.
Siamo solo noi con la nostra arte e con le nostre vite a determinare quanto sia bello esistere.
Scopritevi dunque!
Non rimanete chiusi nelle vostre religioni e nelle vostre illusioni.
Lasciate cadere veli e viaggiate per mondi senza nascondervi.
La vera forza e il vero insegnamento è togliere il superfluo.
È tatuarsi l’anima con qualcosa che possa essere condiviso in tutto il mondo.
Senza far male a nessuno.
Soltanto una parola…
Rispetto.
Rispetto per quello che siamo quando sotto un cielo e sopra una terra…
Creiamo un equilibrio che vive e vibra.
E l’unica cosa che scoppia è un motore che dentro di noi pulsa e genera vita”
Vegas De Laroja
Prefazione
A seguito della caduta del regime dittatoriale di Saddam Hussein in suolo arabo, voluta e avvenuta per mano dei principali governi occidentali, tra i quali anche quello statunitense, i territori appartenenti alla Mezzaluna sono stati segnati da periodi di forti crisi economico-finanziarie e da un conseguente susseguirsi di presenze da parte di organizzazioni paramilitari le cui gesta hanno via via spianato il terreno per la formazione di veri e propri gruppi di individui aventi ideologie legate al fondamentalismo religioso islamico. Questi, durante tutto il corso degli anni Novanta dello scorso secolo, hanno dato avvio alla creazione della più famosa organizzazione terroristica mondiale nota con l’acronimo di Al-Qāʿida che, posta sotto la guida del suo leader indiscusso, Osama Bin Laden, da lì a breve sarebbe stata destinata a far parlare di sé attraverso le sue cruente gesta. Difatti, dopo un lungo periodo di propaganda mediatica, con l’attentato dell’11 settembre 2001 avvenuto in America, le azioni di matrice terroristica legate a tale organizzazione e che prevedevano l’eliminazione di tutti quei soggetti oppositori ai regimi radicali aventi un carattere fondamentalistico islamico, si sono intensificate sempre più, dando avvio non solo a una vera e propria evoluzione sociologica di un fenomeno in grado di segnare la storia mondiale del XXI secolo, ma lasciando altresì lungo il proprio cammino una scia di sangue costituita da un numero incommensurabile di vittime.
Il passaggio di consegne poi da Al-Qāʿida a Daesh (o Stato Islamico che dir si voglia), avvenuto in un lasso di tempo del tutto breve, nonché a seguito della morte di Osama Bin Laden, ha portato a partire dal 2014 alla fondazione di un Califfato in grado di sconvolgere lo scenario geopolitico sia arabo che poi occidentale. La genesi dell’odierno Daesh può essere definita, pertanto, quale frutto derivante da una delle costole di Al-Qāʿida e che da sempre ha visto il proprio impegno nella lotta agli infedeli nei territori compresi soprattutto tra la Siria e l’Iraq: seppur accomunate da un’ideologia di fondo mirante a contrastare l’occupazione occidentale nel Paese, il Daesh – prima sotto la guida del suo fondatore, al-Zawahiri, e successivamente di Abu Bakr al-Baghdadi – si distaccò definitivamente dal modus pensandi e operandi di Al-Qāʿida manifestando una forte volontà nel voler eliminare ogni tipo di influenza legata alla cultura occidentale mirando a un’espansione del Califfato a livello globale.
La caduta della frontiera posta tra la Siria e l’Iraq a seguito della sua creazione ha rappresentato per il Califfato l’avvio di tale progetto. Califfato, infatti, è sinonimo di universalità oltre che di lotta nei confronti degli occidentali apostati ed è per tali ragioni che sotto gli stendardi dello stesso si sono susseguiti innumerevoli combattenti – sia uomini che donne, provenienti da tutto il mondo – col fine di espandere la propria ideologia, i propri usi e costumi. Le metodologie tattiche per ovviare a tale obiettivo sono risultate essere ben diverse rispetto a quelle delle falangi di Al-Qāʿida: l’arruolamento di una moltitudine di volontari con conseguente indottrinamento religioso mirante al compimento di una vera Guerra Santa armata definita con l’appellativo di jihâd, il perfezionamento della propaganda mediatica realizzata attraverso filmati più o meno brevi grazie all’uso di tecniche del tutto cinematografiche rimandanti agli scenari hollywoodiani, la giustificazione della teoria inerente, il takfirismo, l’addestramento tattico-militare legato non solo all’uso di armi ed esplosivi ma anche al combattimento corpo a corpo, rappresentano a oggi i punti di differenziazione dalle tattiche poste in essere dall’organizzazione ad essa predecessore la quale, nei suoi ultimi anni di splendore e fama, ha tentato di racimolare finanziamenti per i suoi combattenti attraverso sequestri di persona.
L’odierno Daesh per tali ragioni è molto più di una semplice organizzazione terroristica, si configura come una vera e propria entità statale strutturata, all’interno della quale ogni singolo membro, possedendo un ruolo ben definito, si adopera per l’esportazione in tutto il globo delle ideologie ad esso legate. Attraverso anche l’uso di strategie comunicative abili nel plasmare la mente degli individui, tale organizzazione realizza azioni terroristiche usufruendo non solo dei suoi adepti interni così come posto in essere da Al-Qāʿida, ma riesce a radicalizzare nel mondo giovani simpatizzanti appellati con l’acronimo di “lupi solitari” i quali, avendo alle loro spalle un vissuto talvolta non del tutto semplice legato a problematiche di natura sociale o psicologica, ritrovano come unica ragione della loro vita il poter combattere per la jihâd, rispecchiandosi con i valori e gli ideali della stessa.
Il fenomeno in questione, quindi, ponendosi come una sorta di entità rarefatta a metà tra elementi aventi carattere ideologico-religioso e militare, risulta avere una componente di fondo aggressiva in grado di ispirare gesti estremi in chiunque aderisca: il tutto costituisce una delle forme più subdole di insinuazione del fenomeno all’interno dei vari tessuti sociali, rendendo difficile l’individuazione dei potenziali aggressori con annessa l’attività di prevenzione criminale messa in atto dagli organi statali mondiali competenti.
Per quante cellule legate all’ideologia jihadista possano essere smantellate, il movimento continuerà a crescere, grazie a tali modelli propagandistici e di arruolamento, sino ad assumere le dimensioni di una sollevazione generale.
La propagazione del movimento jihadista globale garantisce la nascita di ingenti gruppi i quali aderiscono del tutto spontaneamente e autonomamente allo stesso, rispondendo così all’appello della Jihad pur non avendo alcun tipo di collegamento con altre cellule analoghe o con reti legate a organizzazioni jihadiste: soltanto nel momento in cui questi decidono di entrare a far parte di tale bolgia infernale, vengono predisposti all’impiego all’interno dei diversi apparati dello Stato Islamico oppure vengono addestrati col fine di compiere attentati nei loro Paesi di provenienza.
Qualsiasi siano, pertanto, le definizioni in merito da un punto di vista operativo d’intelligence, il risultato non cambia: terrorismo homegrown, lone wolf o molecolare, resta di fatto che, in qualsiasi momento e senza alcun significativo supporto di attività organizzative e strategiche, gli odierni miliziani jihadisti possono aggredire la sicurezza del Paese da essi giudicato come nemico o infedele. D’altro canto, però, per quanto l’ideologia del Califfato si ponga con un fondo di universalità, esso viene profondamente influenzato dai vari contesti nazionali: se da un lato, all’interno del territorio libico la guerra è stata una questione di milizie e tribù, in Siria il Daesh ha rappresentato il male minore rispetto al presidente Bashar Al-Assad; in Iraq lo stesso è stato fonte di rivalsa nei confronti dei sunniti che erano al potere con Saddam Hussein e che sono stati di conseguenza emarginati dalla maggioranza sciita, d’altro canto in Europa cosi come in tutto l’Occidente si parla di “islamizzazione del radicalismo” più che di “radicalizzazione dell’islamismo”. Questo avviene per il semplice motivo che a smuovere la coscienza di lotta verso l’Occidente nei miliziani, definiti come foreign fighters, spesso è tutto tranne che il proprio credo religioso, tanto da far sì che in alcuni territori quali la Tunisia, i Balcani e il Caucaso gli stessi assumano le sembianze di veri e propri mercenari: il Califfato, pertanto, oltre che cambiare i propri obiettivi da Paese in Paese, cambia altresì di jihadista in jihadista.
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Grazia Perre è un’esperta in materia di antiterrorismo internazionale e negoziazione di ostaggi in territori di guerra. Ha seguito corsi di formazione in “Criminal Profiling and Blood Pattern Analisys” e in “Strategic Intelligence and Psycological Operations”. Dal 2016 è collaboratrice dell’Associazione “Cerchio Blu” con sede a Firenze, dove ha seguito percorsi formativi inerenti le tematiche riguardanti il terrorismo islamico grazie alla Scuola di Formazione Gestione Emergenze appartenente alla medesima associazione. È stata relatrice per il corso di formazione rivolto agli organi di Polizia Locale del Comune di Collegno (TO) riguardante lo “Stress operativo negli operatori di Polizia Locale”, nonché relatrice nel 2018 e nel 2019 presso “il Salone Internazionale del Libro” di Torino sulle tematiche riguardanti l’antiterrorismo internazionale, il cyberbullismo e la violenza di genere. Oggi ricopre il ruolo di mediatore di ostaggi presso la Nato.