Mauro Fornaro
Una raccolta di racconti che si presenta come una scorrazzata selvaggia in lungo e largo per la terra a stelle e strisce, tra analisi e sottili ironie delle sue mille contraddizioni.
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Questa raccolta di racconti Profili pericolosi e amici imprudenti trova continuità con la precedente Racconti Americani che si presenta come una scorrazzata selvaggia in lungo e largo per la terra a stelle e strisce, tra analisi e sottili ironie delle sue mille contraddizioni. Le pungenti stilettate ciniche e la capacità di stravolgere i finali con soluzioni estreme e inaspettate, fanno di Mauro Fornaro uno scrittore ben calato nel presente che sa coinvolgere, ma soprattutto far riflettere. Mai banale e sempre controcorrente, Mauro si snoda ancora una volta tra l’America profonda, amicizie poco raccomandabili e situazioni particolari che facilmente possono elevarsi a universali.
– Senti è da ore che siamo in viaggio, mi spieghi perché hai fatto la deviazione? la storia è molto semplice, da Oklahoma City al Mark Twain National Park basta seguire la Interstate 44 per circa sei ore e praticamente ci caschi dentro. Per quale cazzo di motivo dopo due ore hai deviato!? Che cazzo stai facendo?
– Stai tranquillo, fidati di me.
– Fidati un cazzo, siamo partiti con due ore di ritardo per colpa tua.
– Stai sereno, sono andato a trovare Jessica. Sai com’è, dovevo svuotare.
– Che schifo! Tu ci stai assieme a quella solo perché non la cagherebbe nessuno, una ventenne brufolosa e cicciona. Una disperata che a costo di sognare un matrimonio, un giorno, chissà, magari… sarebbe disposta a tutto. D’altronde, si fa scopare da un depravato come te!
– Amico, lo sai che non è vero. La amo perché lei è una ragazza dolce e sensibile – sorrisino perfido.
– La ami un cazzo! Sei l’unico disposto a scoparla in tutta Oklahoma City! Coglione, dimmi dove cazzo mi stai portando. È da più di un’ora che non capisco dove siamo.
– Big Brutus.
– EH? Eeehhhh?! Cooosa? Che cazzo è, o chi cazzo è Big Brutal?
– Amico, Big Brutus. E comunque penso tu stia abusando un po’ della parola “cazzo”. Ripetitivo e noioso…
– Smettila di chiamarmi amico e ascolta bene queste due cose… VAFFANCULOOO! Poi, che caz… che cosa sarebbe Big Brutus e perché mi stai portando lì?
– Comunque le cose che mi hai detto sono state tre – sorrisetto insopportabile.
Il vaffanculo con te è sottinteso, non mi rompere i coglioni e rispondi. Testa di minchia!
– Certo, amico… Big Brutus è il soprannome della pala elettrica modello 1850B Bucyrus‑Erie, una delle più grandi al mondo del suo tipo in funzione negli anni Sessanta e Settanta. Ora è il fulcro di un museo minerario in West Mineral, Kansas, dove era stata utilizzata nelle operazioni di estrazione, pensa che è stata progettata per scavare da venti a sessantanove piedi, un vero portento!
– Porca puttana, ti sei imparato la parte a memoria! Giuda porcooooo, voglio andare a vedere la foresta non quel cazzo di escavatore.
– Pala elettrica, amico – sorrisetto malizioso.
– Smettila di chiamarmi amicooooooo, maledetto tu e tutti i santi escavatori, le pale elettriche e le palle di mio nonno!
Due pugni forti sul cruscotto, un destro sinistro degni di Tyson e un colorito viola, tendente alla morte.
– Andremo lì e ti ucciderò. Caro mio, sai troppe cose.
– Idiota, mongolo, pervertito. Che cazzo saprei per meritare tanto?
– Sai tutto di me, caro il mio cadavere momentaneamente ancora in vita.
– Lo so che so tutto di te, siamo amici da una vita. Stesse scuole, stessi amici, stessa vita.
– Sì, questo è vero. Ma ci sono cose che non sai e che ti voglio dire. Poi, però, dovrò ucciderti.
– Sì, ok. Organizziamo un weekend insieme, decidiamo la destinazione e cosa fare. Poi, a un certo punto, tu decidi di raccontarmi dei segreti, chissà che segreti, e mi comunichi che da qui a un paio di ore sarò morto. Bella merda, stronzo. Sei sfigato anche come omicida.
– Invece, no. Caro mio, il piano è perfetto. Chi se lo immaginerebbe? Nessuno, appunto. Quindi, il piano è perfetto.
– Sì, va bene. Come no. Convincente. E spiegami, quali sono queste cose che saprei, o meglio, che saprò tra poco, così gravi da meritarmi la morte violenta?
– Vero, giusto. Mi voglio confidare con te.
– Confidare? Stai per darmi delle informazioni gravissime sul tuo conto, tanto che chi le saprà poi dovrà morire e tu le chiami confidenze!? Robe da matti. Senti, non è che dovresti farti qualche giretto con una prostituta come si deve e forse ne usciresti pulito e vuoto anche mentalmente.
– Ah ah, non serve. Ho già la mia dolce Jessica. Non ti preoccupare. Ma ora lasciami parlare. Ti prego.
Qualche istante di silenzio, avevano i finestrini leggermente abbassati e il frinito delle cicale entrava prepotentemente come a invadere la loro intimità.
– Ti ricordi di Tom, sì ti ricordi di lui. Ogni tanto lo prendiamo ancora in giro. Era un bambino timido e le prendeva da tutti. Pure dalle bambine, anche quelle più piccole. Quel braccio rotto, quello che si ruppe in bagno. Beh, in realtà la colpa è mia. Non so cosa mi successe, o meglio, lì per lì non lo capii. Riuscii a capirlo solo molti anni dopo. Adoro infliggere dolore alle persone. Ma torno a Tom. Ero in bagno, avevo appena fatto la pipì e nello stesso cesso entrò lui. Fu un istinto, senza rendermene conto gli dissi di mettere il braccio vicino alla porta, ovviamente obbedì, e la feci sbattere forte. Poi gli sussurrai che se avesse detto qualcosa agli insegnanti gli avrei tagliato le dita dei piedi con le forbici. E così la feci franca, per la prima volta. Ma ce ne furono molte altre.
– Sì, okay amico. Ma questa è una mezza cazzata. Cosa da bambini. Avremo avuto quattro o cinque anni.
– Non direi, da lì nacque tutto. Ricordi della povera Tess…
– Oh, mio dio. No… – Stava iniziando a credere, almeno un po’, all’amico.
– Certo, caro mio. Non scivolò dall’albero. Fui io a spingerla giù e poi mi nascosi nella casetta dell’albero. Eravate tutti impegnati a urlare e a piangere, voi bambini, troppo impegnati a soccorrerla e a riportarvi in classi, gli insegnanti, che nessuno si è preoccupato di me. Rimasi lì per una buona ora, nessuno si accorse della mia assenza. Me ne uscii quando suonò l’ultima campanella. Confuso in mezzo a tutti gli altri bambini.
– Ma Tess in quell’occasione perse l’uso dell’occhio sinistro e rimase zoppa a entrambe le gambe. Pazzesco! Stai parlando seriamente?!
– Assolutamente.
Repentinamente il clima si fece più grave, il caldo divenne repentinamente insopportabile.
– Ma quindi… a James venne mozzato il lobo dell’orecchio destro, avremo avuto circa dieci anni…
– Esatto, lui non se ne rese conto ma fui io a spingere le sue dita perché le forbici si chiudessero. Quello fu il caso più semplice. Stavamo facendo gli stupidini e l’incidente passò per l’evento più probabile. Anzi, certo.
Il silenzio si impossessò per un attimo dell’abitacolo.
– E qualche mese prima toccò alla maestra Elizabeth. Ricordi? Cadde dalle scale del primo piano e si ruppe una vertebra del collo. Fui io a bagnare il primo scalino. Ci pisciai sopra e le conseguenze le abbiamo viste tutti. Con gli anni divenni via via sempre più bravo e scaltro. Mai scoperto. Il primo che sa queste cose sei tu. E sai perché? Perché voglio che qualcuno sappia quanto sono stato bravo in questi anni a non farmi scoprire. Il mondo, tutto, dovrebbe sapere che sono un genio. Ho sempre causato gravi danni in assoluto anonimato. Hitler lo odiano tutti, a me non mi odia nessuno. Non ho estimatori. Sicuro, Hitler ne ha ancora, ma a mio vantaggio non ho persone che ce l’abbiano con me.
– Oh, mio dio. Ma quindi… mi stai dicendo che le forcine per capelli nel risotto, quel giorno, avremo avuto forse tredici o quattordici anni… porca… porca puttana!
– Ah ah ah, esattttttto! Un pranzo, un primo, e ricordi bene, era risotto, una manciata di forcine et voilà: sette persone in ospedale con prognosi anche di due o tre mesi. Scoperto? Certo che no! Quel giorno a scuola non c’ero, o meglio, non ero in classe. A scuola ci venni eccome! Ma mi nascosi in mensa per mettere in pratica il mio piano malvagio. Non sai quanto ci godetti, quello fu il mio capolavoro!
– Tu sei pazzo o mi stai prendendo in giro?
– No caro, tutto vero. E negli anni i casi furono molti altri. Odiavo la scuola e provavo gioia e soddisfazione nel pianificare le mie volontà.
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Mauro Fornaro, poeta, scrittore di racconti, romanziere e blogger. Sempre incisivo, critico e mai schierato a priori. Perennemente in lotta con la banalità quotidiana. La sua prima pubblicazione, poetica, risale al '96, "Sottovoce". Del 2010 "Una complessa semplicità" e del 2012 "La fatica di non pensare", le altre raccolte di poesie prima di una di racconti "Se volessi essere disturbato" del 2014 e di un romanzo, uscito nel marzo del 2017: "L'uomo che piangeva in silenzio". Di ottobre del '17 è la pubblicazione poetica, la quarta raccolta di poesie, "In quanti siamo rimasti in questo caffè". Dell'aprile del 2018 è il libro di racconti "Racconti americani". Nel novembre del '19 è uscita la sua ultima raccolta di poesie, "Veramente pensate di capire i poeti?", libro estremamente autobiografico. In prossima uscita il libro "Profili pericolosi e amici imprudenti", una raccolta di racconti sempre con riferimento l'America e le sue contraddizioni.